ABITARE LA CITTÀ

Abitare la città è una metafora piena di effetto, quasi uno slogan. La dimensione del vivere in una città ha il suo ancoraggio nella quotidianità: lavoro, studio, servizi e quant’altro sia necessario alla vita del residente in relazione con il proprio territorio. Firenze non ha passato anni facili. La pandemia qua ha battuto forte più di quanto si era immaginato all’inizio del contagio. L’economia è andata in crisi in forma circolare, ha coinvolto in un colpo solo l’economia reale della città e i suoi abitanti, la rendita turistica e ovviamente i servizi alla cittadinanza. Tutto in pochi mesi, senza avvertire una linearità consequenziale negli accadimenti che si sono succeduti. Firenze si è svegliata di colpo più povera e alla ricerca di investimenti per la ripartenza. In pratica, si è ritrovata in vendita al miglior offerente.

La ragione di questo mini-default cittadino, temperato dalla politica dei ristori nazionali, è nascosta nel principale modello di sviluppo urbano che, quasi a tavolino, è stato scelto per la Città del Fiore. Il modello è quello della “turistificazione”, che incide a raggiera nelle altre attività dell’economia reale. La dinamica di relazione, infine, è sempre vissuta in chiave comunale, senza puntare alla spazialità di un territorio più ampio, allargato ai comuni limitrofi (e non solo a questi). Firenze non è solo autoreferenziale, ma non vede al proprio interno più in là del suo centro storico. Un paradosso storico-urbanistico che la dice lunga sulla capacità di prospettiva dell’abitare la città.

La turistificazione non è necessariamente legata solo all’attività turistica. Essendo un particolare modello di sviluppo cerca la sua realizzazione nei meccanismi intensivi di profitto estrattivo. Non siamo quindi nel campo della nostalgica attività di affittare la casa della nonna per avere un reddito di risorsa e mantenere allo stesso tempo alto il valore dell’immobile. Firenze è cambiata senza che la residenza se ne sia accorta, in un lento e continuo spostamento dell’asse economico verso l’insostenibilità sociale ed ecologica e il consumo delle parti comuni della città. Il turismo tanti anni fa era un’importante risorsa della città, oggi quello stesso turismo modificato in industria estrattiva sta ponendo nuovi problemi di convivenza. Studentati e resort di lusso nella pancia viva di Firenze sono la dimostrazione dell’effimero politico congedato a elemento di pura pratica economica.

La rilevante diminuzione del mercato degli affitti residenziali spostati in massa nel comparto turistico ricettivo è la diretta conseguenza di una legislazione, nazionale e regionale, carente sul piano delle trasformazioni urbane. Diritto e nuove prassi economiche non dovrebbero offrire alibi a basso costo agli strumenti di pianificazione urbanistica di un Comune. Le città si trasformano in continuazione, sono elementi vivi e dinamici: ne dovrebbe essere solo eliminata l’anarchia funzionale. Firenze, per esempio, grazie al turismo produce una quantità enorme di dati digitali. L’economia digitale è il nuovo oro mondiale, produce ricchezze ed è in grado, se gestita con trasparenza e cura, di migliorare la qualità della vita di una comunità urbana. I dati fiorentini però non sono open, le uniche applicazioni significative realizzate dal potere pubblico, sono per ottenere più sicurezza e richiamare turisti. Sul futuro digitale della città andrebbe perciò velocemente aperta una discussione per ricondurre quella ricchezza al bene della comunità.

 

I mali di una città nascono e muoiono nelle articolate relazioni di cittadinanza e nella mancanza di regole in sintonia con i tempi. I costi della vita non sono più comparabili a quelli di qualche anno fa, e il rischio per il lavoratore subordinato, anche all’interno della macchina turistica, di prestare la propria opera solo per pagarsi l’affitto di casa è diventato realtà.

L’erosione dei diritti di cittadinanza si porta dietro come prima conseguenza la fuga da una dimensione urbana basata sul ricatto di vivere. I meccanismi della solidarietà funzionano fino a un certo punto, superato il quale la città stessa si trasforma e diventa una finzione scenica senza peraltro una reale alternativa, se non la teoria del collasso.

Ma di questa “nuova” Firenze va preso atto, perché è da essa che si deve partire di nuovo, senza farsi illusioni di tornare a un passato di antiche relazioni. Significherebbe teorizzare nuove delusioni. Firenze non sarà mai una città di cultura economica policentrica, capace di distribuire risorse in cambio di una diffusa armonia sociale. Le leve economiche cittadine spingono in altre direzioni. Il suo futuro è privo delle necessarie interconnessioni istituzionali che mostrino ai residenti la possibilità di un cambio di rotta. La direzione è segnata, e la ripartenza economica vive di mancanza di scelte. La turistificazione è la logica conseguenza: il mal minore, l’unica via possibile della ripresa nell’aspra situazione post-pandemica. La più veloce e apparentemente la più sicura. Sennonché alcuni fantasmi si aggirano di notte anche in piazza della Signoria, si chiamano Recessione e Inflazione, cui si aggiunge Omicron, uno spettro che va e viene. Potrebbero portare nuove povertà e sobbalzi negativi all’industria turistica. L’alto costo dei servizi al turismo e il calo progressivo del potere di spesa non concedono molto tempo per cullarsi con i lasciti della speranza.

Cercare nuove soluzioni per adeguare i vecchi modelli di partecipazione civica all’incerto futuro è già il principale problema per rinnovare la democrazia urbana e la fiducia tra istituzioni e residenza. L’urgenza è nei fatti, nelle cronache degli eventi di queste settimane dense di preoccupazioni. L’attuale modello di produzione della ricchezza produce diseguaglianze sociali evidenti, mette in vendita i pezzi migliori di Firenze e poggia su un terreno instabile. Appalta la città al rischio permanente.

Abitare la città significa allora costruire un nuovo modello di relazione, dove diritti individuali e sociali si uniscono per affrontare un futuro già gravido di incertezze. Al centro della riflessione va posta la residenza e la sua dimensione abitativa insieme allo sviluppo economico di una città che si faccia veramente sostenibile, adeguata ai tempi che verranno, anche a quelli sottoposti agli stress climatici. Garanzie e diritti devono essere tutelati al massimo dalle buone azioni di chiunque desideri far parte di una comunità urbana: amministrati e amministratori. La responsabilità verso il bene comune chiamato “città” è l’esigenza teorica dell’azione di governo comune e collettivo. Le virtù sono tipiche dell’amministrare la città e lo status di residente è già in sé una forma di lotta e di resistenza civica. Si chiama semplicemente buon governo. Ed è forse giunta l’ora per la residenza di Firenze di far sentire la propria voce.