Foto di copertina © Massimo Lensi
Le pagine dei giornali locali in questi giorni riportano i numeri del giro d’affari che – bontà sua – sono stati dichiarati per il 2018 dalla principale piattaforma per la pubblicizzazione e gestione delle locazioni brevi. Chi non fosse addentro alla questione potrebbe sospettare una qualche pregiudiziale ironia da parte nostra, ma non è così. È solo che, come residenti, abbiamo il privilegio di sperimentare concretamente i dettagli che nella sintesi di un articolo non possono entrare, e che tra gli obiettivi che come associazione ci siamo dati c’è anche quello di aggiungere le informazioni mancanti per ricostruire, per quanto possibile, il quadro nella sua complessità.
È bene innanzi tutto sapere che la ragione principale che da qualche tempo vede contrapporsi alcuni Stati e Amministrazioni locali da un lato e piattaforme web dall’altro sta proprio nell’impossibilità per i primi di ottenere accesso ai dati di inserzionisti e transazioni online.
Queste informazioni sono fondamentali per poter verificare:
- La reale entità dei fatturati di piattaforme e inserzionisti e il rispetto dei relativi obblighi normativi in materia fiscale, lavoristica, contributiva;
- L’effettiva comunicazione alla locale questura dei nominativi delle persone ospitate;
- Il rispetto di eventuali normative che delimitano nel tempo e nello spazio le attività di locazione (In Italia non vi sono normative di questo tipo; per una carrellata sulle regole poste da molte città del mondo si veda qui);
- Nel caso della Toscana, la corrispondenza degli alloggi locati ai requisiti stabiliti legislazione regionale in materia e l’ottemperanza all’obbligo di iscrizione al registro delle locazioni turistiche.
Allo stato attuale, non è ancora possibile per le pubbliche Amministrazioni, avere contezza diretta del reale volume di affari in transito sulle piattaforme, né di quanti e chi siano gli inserzionisti titolari dell’attività di locazione o per quanti giorni l’anno la esercitino; l’unica possibilità è affidarsi – appunto – alle volenterose dichiarazioni dei loro rappresentanti. I controlli ci sono, ovviamente, ma non sfugge ad alcuno la difficoltà di individuare e mappare attività che si svolgono all’interno di abitazioni private la cui diffusione capillare nelle città ha raggiunto le dimensioni che abbiamo descritto anche nel caso di Firenze. Ancor meno facile è monitorarne l’attività reale nell’arco del tempo e le notizie di attività condotte illegalmente sono frequenti.
La posta in gioco però non è una semplice questione di rispetto delle regole, che pure non è di poco conto; l’insufficiente trasparenza di questo settore dell’economia turistica inficia anche la possibilità di un serio dibattito pubblico sulle sue ricadute – positive e negative – sulla comunità cittadina e l’economia del territorio, nonché sulle soluzioni che la politica dovrebbe adottare per contenerne gli eccessi e assicurare una più equa ripartizione dei benefici e dei costi.
Per poter stimare in cifre quanto questo business porti alle comunità cittadine in termini di benefici, o di costi per i servizi – pubblici e anche privati visto che parliamo di attività che operano anche all’interno di condomini – e per affrontare le esternalità negative che ogni industria genera serve per l’appunto una mappatura quantitativa, qualitativa e topografica dei siti produttivi. Proviamo comunque a fare qualche considerazione sulla base delle informazioni disponibili.
Secondo le dichiarazioni di Airbnb nella sola Toscana il giro d’affari transitato sulla piattaforma nel 2018 sarebbe di circa un miliardo (961 milioni), di cui quasi la metà generati a Firenze. Il dato non stupisce. Firenze è da sempre il traino dell’attrazione turistica regionale, ed è anche uno dei principali mercati per le piattaforme di affitti brevi in Italia. Sappiamo dalle stime di vari centri studi (ad esempio dal rapporto Irpet 2018) che le presenze in locazioni turistiche “non ufficiali” sono almeno 5 milioni l’anno, e approssimando in circa 80-100€ il costo medio giornaliero di un appartamento nel 2018 (fonte InsideAirbnb) la cifra che risulta è proprio intorno al mezzo milione di euro.
A chi vanno però questi soldi e, soprattutto quali sono le ricadute sulla città?
La narrazione degli attori di questa industria si spinge a dar per certo un significativo indotto benefico delle locazioni turistiche su: i) l’economia di quartiere (per gli acquisti fatti nei negozi di prossimità con i soldi risparmiati rispetto alle locazioni alberghiere); ii) il mercato del lavoro cui si offrono nuovi posti sul territorio; iii) le finanze delle famiglie che affittando parti della propria casa arrotondano i propri budget.
È davvero così?
Secondo InsideAirbnb, a fine novembre 2018 gli annunci di locazioni brevi nel Comune di Firenze fotografati come disponibili sulla più nota delle piattaforme web erano 11.262; disposti come punti sulla mappa coprivano quasi interamente la parte della città racchiusa nella cerchia dei viali. Ben 8.640 di questi (il 76,7%) offrivano in affitto un intero appartamento e il 63,9% (7.199) era riconducibile a host con più di un annuncio sulla stessa piattaforma.
Nella classifica top host i primi tre erano titolari rispettivamente di 184, 155 e 135 inserzioni, il ventesimo ne aveva 32. Nel complesso, ai primi 20 top host facevano capo ben 1.289 annunci (circa il 12% del totale), principalmente concentrati nel centro storico, sebbene almeno 10 di loro avessero anche inserzioni per immobili localizzati in altri tre o quattro quartieri della città. È quindi evidente che il mercato delle locazioni brevi a Firenze è in buona misura animato da reali attività d’impresa (alcune di dimensioni considerevoli, come nel caso dei 20 top host). Tra queste, come rivelato da alcune inchieste giornalistiche, vi sono anche società immobiliari di grandi dimensioni, titolari di centinaia di annunci tra le principali città turistiche europee. Viceversa, l’economia della condivisione (ovvero la ‘messa a reddito’ della seconda casa da parte di famiglie residenti in cerca di una integrazione alle entrate) già nel 2018 appariva già piuttosto ristretta, al più a quel 36% di mono-inserzionisti mappati da InsideAirbnb.
Ora nessuno vuole negare il diritto all’attività di impresa, però come tale si vorrebbe vederla agire anche sul piano delle responsabilità. È difficile, in base a quanto visto, pensare di essere ancora nella fase della sharing economy e che il grosso del guadagno finisca nelle mani di una minoranza di mono-inserzionisti, che fanno palesemente fatica a reggere la competizione con le grosse aziende multiproprietarie. Gli stessi dati forniti da InsideAirbnb e le analisi svolte da ricercatori dell’Università di Siena mostrano che gran parte del guadagno finisce nelle mani di pochi e non si diffonde sul territorio.
Passiamo dunque a considerare altri canali attraverso cui si potrebbero diffondere effetti benefici. Certamente si generano posti di lavoro, ma quanti e a quali condizioni non viene illustrato in modo facilmente verificabile; ancor meno evidenti sono l’effettiva presenza di tutele contrattuali, il rispetto delle normative di sicurezza, o degli obblighi contributivi. Dalle informazioni disponibili si evince, poi, che ai nuovi posti di lavoro creati corrispondono soprattutto posizioni di bassa manovalanza e con scarse prospettive di formazione e crescita professionale.
Esaminiamo ora il preteso effetto propulsivo che l’espansione capillare delle locazioni turistiche avrebbe avuto sui negozi di prossimità. Chiunque abbia modo di girare a piedi per le strade di Firenze non può che prendere atto della pressoché totale scomparsa dei negozi di vicinato dal centro storico, dove a farla da padrone sono semmai esercizi di ristorazione, paninerie e supermarket. Per entrare nei pochi forni o alimentari rimasti si devono superare i gruppi con guida intenti all’experience locale (anch’essa peraltro gestita dalle stesse piattaforme web), che, a detta di molti negozianti, poco comprano e molto “rompono”. Nei quartieri semicentrali la situazione è meno drammatica, ma ovunque compaiano locazioni turistiche a stretto giro di ruota si osserva la sostituzione delle botteghe con paninerie, fast food, lavanderie a gettoni, negozi di trolley eccetera.
Esaurito l’esame di questi tre discutibili effetti positivi, passiamo piuttosto a una breve carrellata delle ricadute negative che la diffusione delle locazioni turistiche ha portato con sé.
I rifiuti: non c’è condominio né strada della città che non sperimenti l’abbandono di sacchetti e rifiuti “sfusi” in posti eterodossi, ogni cassonetto o isola ecologica sa di non poter sfuggire alla compagnia di qualche “arredo” dismesso da uno tra i tanti esercizi di locazione e B&b. A fronte di ciò i costi dello smaltimento, che sono determinati sulla superficie degli immobili e non sul numero di occupanti, finiscono per ricadere in misura proporzionalmente maggiore sulle famiglie residenti, rispetto a chi da un appartamento della stessa metratura ha operato una ristrutturazione per ricavarne posti letto nel maggior numero possibile. Che dire poi delle fosse biologiche dei palazzi disegnate per ricevere le deiezioni di 4-5 unità abitative, ora costrette a riceverne tre-quattro volte tante perché con i frazionamenti la moltiplicazione delle camere e degli occupanti porta va di pari passo a quella dei bagni? Le spese di vuotatura e in generale le spese condominiali si spalmano in ragione dei millesimi di proprietà, non dell’uso. Similmente, gli oneri per uso e manutenzione degli ascensori si ripartiscono in base ai piani, chi sta più in alto paga di più, anche quando a far viaggiare intensamente il mezzo sovraccaricandolo di valigie sono i turisti che pernottano al secondo piano.
L’elenco potrebbe continuare a lungo, ma è la riduzione dello spazio abitativo la conseguenza più seria e problematica per la città e i suoi abitanti.
Quando interi condomini e palazzi sono convertiti a uso del turismo e sfratti o mancati rinnovi delle locazioni si susseguono indisturbati mentre il mercato immobiliare registra continui rialzi dei prezzi per affittare o acquistare, si approssima un pericoloso punto di non ritorno. Vivere assediati dal consumo, per di più dovendosene sobbarcare le spese – per esternalità come quelle suddette e per il costo della vita che aumenta – non può che avere come effetto quello di spingere i residenti a lasciare la propria città. E anche questo si traduce in un aumento dei costi per chi resta. Il diffondersi degli affitti brevi, sottraendo immobili a uso residenziale, aggrava il problema abitativo, che in molte città sta diventando un’emergenza. In assenza di regole il rapporto fra affitti turistici e affitti residenziali cresce senza freni; a Firenze sembra essere arrivato al valore di 10 a 1 nel centro storico e 5 a 1 in periferia.
Il paradosso che si sta venendo a creare è quello di vedere Stati e Amministrazioni locali che da un lato investono per promuovere il turismo – aumentando inevitabilmente anche la domanda di locazioni brevi – dall’altro si ritrovano ad affrontare costi pubblici crescenti per rispondere all’emergenza abitativa che essi stessi contribuiscono ad aggravare.
L’appello fatto da dieci città europee (ora dodici con Venezia e Firenze) a Parlamento e Commissione UE trova la sua ragion d’essere proprio dal tentativo della politica e delle istituzioni di intervenire a salvaguardia delle città, ponendo regole e limiti precisi alla diffusione delle locazioni brevi nello spazio abitativo, prima che sia troppo tardi. La vicenda ha avuto inizio davanti al Tribunale di Parigi, prima di approdare alla Corte europea di Giustizia su richiesta di Airbnb allo scopo di resistere alle richiesta della città di Parigi di conformarsi alle regole locali, ma la questione è la stessa anche per le altre piattaforme di intermediazione. Come speriamo sia ora comprensibile a tutti, non si tratta solo, né soprattutto, di una questione fiscale, né di un appello contro una specifica piattaforma, perché il punto sollevato è la possibilità – per le Autorità competenti – di fare rispettare le regole locali nei confronti di chi vorrebbe ignorarle affermando di essere assoggettato soltanto alle leggi del suo Paese di origine. L’appello è, infatti, scaturito in seguito al parere non vincolante espresso dall’avvocato generale della Corte di Giustizia europea per il quale, secondo i regolamenti e le direttive della UE, Airbnb dovrebbe essere considerato un fornitore di informazioni digitali piuttosto che un agente immobiliare tradizionale. Se questo status fosse riconosciuto dalla Corte, le piattaforme online per gli affitti brevi sarebbero sollevate dal dovere di ottemperare alle normative già introdotte da Stati, Regioni o Comuni.
Servono quindi nuove direttive e regolamenti comunitari per superare un impasse da cui le città potrebbero uscire ridotte a meri spazi per city users paganti. E in Italia serve una legge nazionale che dia a Regioni e Comuni la possibilità di contenere e organizzare le locazioni brevi affinchè non stravolgano il tessuto sociale ed economico dei territori.
Aderendo a questo appello il Comune di Firenze ha dato un primo segnale tangibile di voler seguire l’esempio di altre città europee anche nell’introduzione di regole a tutela dello spazio abitativo. Di questo Progetto Firenze non può che rallegrarsi dichiarandosi da subito pronto a collaborare per sostenere l’Amministrazione, continuando a pungolarla se dovesse servire.