All’inizio furono le Burella, oscure e sotterranee, poi venne il tempo del Bargello e delle Stinche con il motto “Oportet misereri“ (occorre compatire) inciso all’ingresso e infine gli ex monasteri delle Murate, Santa Verdiana e Santa Teresa. La visione che dal medioevo ci conduce alla fine del secolo scorso collocava le carceri sempre all’interno delle mura cittadine: la prigione faceva parte integrante della città. Solo il palco delle esecuzioni capitali era posto fuori Porta della Giustizia, vicino alla torre della Zecca. Con il secolo dei lumi, e da noi Cesare Beccaria e il Codice Leopoldino, la logica della pena cambia: non più corporale ma costruita attorno alla privazione della libertà, in un carcere che però resta inserito nel tessuto cittadino, capace di avere con esso una relazione umana e perfino politica. Come non ricordare le vicende ambientate nel carcere della Murate narrate nei romanzi Metello e Cronache di poveri amanti di Pratolini?
Oggi, invece, la relazione tra carcere e città è sfuggente.
Lo spostamento nel 1983 del polo penitenziario fuori Firenze, nella zona di Sollicciano, ha portato con sé nuovi problemi e vecchie necessità. E’ sempre più raro, infatti, che nei tempi dell’esclusione un istituto penitenziario sia coinvolto nella vita di una città. Eppure quante attività si potrebbero concepire – e quante aperture in un senso e nell’altro si saprebbero inventare – per inserire i detenuti all’interno della vita civica. Basterebbe volerlo e creare quelle minime strutture di collegamento tra il carcere e la città. L’espulsione – perché così fu vissuta – del polo penitenziario da Firenze equiparò nei fatti il carcere a una discarica di rifiuti solidi umani, ops, urbani. Non è buon uso farla vicino al centro abitato, meglio costruirla lontano da occhi indiscreti, e meglio ancora se arricchita con qualche diavoleria architettonica.
Il carcere di Sollicciano oggi è isolato; per raggiungerlo bisogna per forza usare l’auto.
Fino al 2011 era collegato alla città dalla linea Ataf numero 27, che fu soppressa ai tempi delle ristrutturazioni economiche, per risparmiare e allo stesso tempo chiudere ancora di più un’istituzione totale e lasciarla isolata nei suoi problemi di vita quotidiana. Più volte abbiamo sollevato il problema, perché sono davvero in tanti a subire i disagi dovuti a questa situazione: i parenti dei detenuti, i detenuti in permesso di lavoro, gli agenti del corpo di Polizia Penitenziaria, i volontari.
Riattivare la fermata Ataf di fronte ai cancelli principali, costituirebbe un significativo passo per tornare a percepire il carcere di Sollicciano come luogo reale della città di Firenze, che, al pari di altri istituti come gli ospedali o le scuole, ha diritto ai servizi della città.
Massimo Lensi – Associazione Progetto Firenze