ANCHE IL CARCERE È CITTÀ

ANCHE IL CARCERE È CITTÀ

Foto di copertina © Massimo Lensi

Le carceri italiane tornano a essere sovraffollate più di quanto un fisiologico soprannumero di ristretti consentirebbe. Il carcere fiorentino di Sollicciano è tra gli istituti penitenziari italiani più difficili. Nato nel 1983 nell’omonimo quartiere nella parte sud-ovest di Firenze è da allora in crisi permanente. In nome di un cervellotico tentativo di inserire la struttura nel territorio circostante, si volle che la pianta del complesso carcerario di Sollicciano richiamasse il giglio fiorentino.

La pianta di progetto del Carcere di Sollicciano

Su questo il fallimento è stato totale. Se con la vecchia galera delle Murate il rapporto tra città e struttura detentiva era forte e complesso, con Sollicciano oblio e noncuranza sono diventati la regola.

Problemi strutturali, squallore, degrado.

Nato con l’ambizione di incarnare il modello del carcere moderno, già al momento dell’inaugurazione Sollicciano si palesò pieno di difetti strutturali, architettonici e sociali. Oggi, è un complesso abnorme e decerebrato: cemento ovunque, una collezione di gigantesche tracce di infiltrazioni umide, con a contorno enormi spazi colmi di squallore e degrado, invece che di vita sociale. Unica eccezione l’inutilizzato Giardino degli Incontri, voluto e ideato dall’architetto Giovanni Michelucci, che però è usato al più come spazio per i rari convegni. Tutto a Sollicciano è sproporzionato. Smisurati i corridoi di collegamento tra vari bracci, enormi le porzioni di cemento ricurvo che fungono da collegamento panottico tra sorveglianti e detenuti, mastodontica la visione d’insieme: 15 ettari di cui solo 2,5 coperti. Un mostro da qualsiasi punto di vista si voglia guardarlo, una fatica immane per chi deve viverci.

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Un carcere lasciato solo dalla città.

In quest’oscillazione tra realtà percepita e diversità, l’apparato istituzionale nicchia a dare risposte. Il carcere è un muro di gomma su cui tutto rimbalza e, soprattutto, è anche un’ideologia della trasformazione che è entrata nei tessuti vitali della nostra società, avvelenandoli. Lo Stato sociale di diritto naufraga e con sé porta a fondo i precetti classici della solidarietà e della civiltà giuridica.

Ricostruire un ponte tra Firenze e il suo carcere.

Noi vogliamo costruire un vero ponte tra Sollicciano, le istituzioni e i cittadini di Firenze. Un ponte percorribile con fiducia nei due sensi di marcia per incontrarsi e ridare dignità a chi nel carcere è ristretto, o vi lavora, per ridare a Firenze l’umanità pragmatica che l’ha sempre contraddistinta. Per realizzare questo c’è però molto lavoro da fare e molta consapevolezza da acquisire. Ora, infatti, Sollicciano è una discarica sociale abbandonata a se stessa e minacciata da sentimenti di vendetta sociale, o d’ignavia, instillati e alimentati da chi di questi sentimenti e paure si serve per soffocare la parte migliore della polis, corrompendone il sentimento di giustizia e rendendola complice nel trasformare l’esecuzione della pena in tortura e scuola del crimine.

Un penitenziario è una realtà difficile, certo, ma le sue difficoltà e le sue speranze diventano insormontabili se la città lo espelle. Quando qualcosa non funziona in una scuola, o in un ospedale, si muovono le istituzioni, i sindacati e la società civile. Così deve tornare a essere anche per le carcere fiorentine, perché un carcere che rispetta la dignità della persona e del lavoro è parte integrante dello stato di diritto e può applicare con sicurezza il principio dell’effettività rieducativa della pena all’interno di un quadro di legalità costituzionale. Solo così chi ha sbagliato può pagare e tornare a essere una risorsa, per sé e per la collettività violata dalle sue azioni.