CAMPA MARZOCCO CHE L’ERBA CRESCE

Immagine di copertina: copia del Marzocco di Donatello, simbolo del potere popolare nella Repubblica fiorentina

Ormai sembra che la ricetta per uscire dalla crisi economica in cui la città di Firenze, come tutto il mondo, è precipitata a seguito della pandemia sia bell’e pronta. Da una parte, con il piano #Firenzerinasce, il Comune tenterà di raccattare fondi all’estero grazie alla benevolenza di mecenati filantropi. Dall’altra parte, lo stesso Comune, con il piano delle facilitazioni amministrative per l’occupazione di suolo pubblico, tenterà di attivare i consumi dei fiorentini.

Una ricetta che poggia su due gambe deboli e traballanti.

La prima perché la crisi è globale e la situazione non è quella del periodo successivo all’alluvione del 1966 quando mezzo mondo si strinse attorno alle macerie di Firenze, simbolo internazionale di cultura e arte. Disastri in giro ce ne sono molti, di mecenati, invece, pochi e di sicuro non lo farebbero a fondo perduto. Il virus, poi, è immateriale, non distrugge case e ponti, ma incide nel profondo delle coscienze popolari e nelle loro paure. La seconda idea, quella di incoraggiare i consumi, invece, non tiene in conto che neppure i fiorentini e i visitatori di prossimità hanno più i portafogli pieni e molti devono ridurre i consumi all’essenziale. Le file per entrare nel Duomo di Firenze ora ci sono solo perché l’ingresso è gratuito.

La debole formula per la rinascita di Firenze cova poi in sottofondo la speranza del ritorno del turismo internazionale, obiettivo cullato dalla monocoltura industriale che ha imperversato nella città gigliata negli ultimi quindici anni, facendo più danni della grandine e imponendo un modello di produzione della ricchezza non redistributivo, e che ora mostra la sua intrinseca fragilità di fronte alla crisi pandemica.

Una speranza che, oggi più che mai, richiama alla necessità di una riflessione lungimirante, perché come scrive Marco D’Eramo “il turismo è l’industria più pesante: rientra di diritto nel postmoderno, ma la sua materialità di acciaio, auto, aerei, navi, cementifici, lo situa tutto dentro la pesantezza industriale del moderno.” (Il selfie del mondo, Feltrinelli, 2017).

Tutto è perduto, quindi? No, tutt’altro.

Noi siamo convinti che il passaggio fondamentale sia accettare la necessità di un nuovo modello di sviluppo locale basato su un diverso utilizzo dello spazio pubblico e sui principi della solidarietà e della cittadinanza. Per questa ragione, Progetto Firenze ha aderito all’appello “Firenze Popolare” cui rimandiamo per tutti gli approfondimenti. Solo imponendo alternative all’attuale modello di non-sviluppo sarà possibile uscire dalla crisi.

Prima, perciò, si dia il via davvero alla svolta verso il nuovo modello; poi, in un secondo momento, si potrà passare alle ricette e ai dettagli per la Firenze del dopo-pandemia. Altrimenti non ci resterà che dire: campa Marzocco che l’erba cresce.