Qualcuno aveva sperato ci fosse spazio per ripensarsi e correggere i troppi errori del passato. Le immagini di Firenze durante l’imprevisto blocco pandemico hanno mostrato a tutti come l’overtourism l’abbia svuotata di se stessa, evidenziando i limiti di un’economia a basso valore aggiunto e per nulla resiliente.
L’illusione è durata un attimo. Le buone intenzioni sono già finite sotto il tappeto della ripartenza.
Il marketing territoriale pubblico e privato è ripartito alla grande, mettendo a frutto anche le paure del viaggiatore pandemico. Le foto delle piazze vuote sono immediatamente diventate potenti richiami pubblicitari. In nome della ripartenza, si può far finta che il turismo in massa, con i suoi torpedoni inquinanti e le comitive che murano strade e scorci panoramici, sia destinato a non tornare più. Gli ultimi mesi sono stati tutti un fiorire di eventi diffusi e nuovi investimenti sul turismo lento, personalizzato, esperienziale e ambientalista. La narrazione del turismo green & sustainable aiuta molto anche a superare le remore di tanti ambientalisti, fino a convincerli della necessità di ampliare le aree parcheggio, di intervenire rigenerando vecchi angoli di paesaggio, di recuperare le vecchie case abbandonate per farne locande e B&b. Se poi vicino alla nuova strada ci si mette una pista ciclabile, perché mai esitare a posare questo po’ di cemento in più? Finalmente, anche ai più sperduti borghi è data l’occasione di diventare campioni di presenze come Panzano e Montalcino.
Anche a Firenze, che già prima della pandemia non si accontentava di esser “semplice” città d’arte e sfornava eventi su eventi, ci si è dati parecchio da fare.
Le folle di comitive che ne riempivano il centro storico non sono ancora tornate a pieno regime, quindi quale occasione migliore per venirla a visitare? E, se per ora si fa mostra di compiacersi del “respiro” ritrovato, ci si agita senz’altro parecchio per favorire il ritorno in massa del turismo, con una rinnovata e intensa attività di promozione di ogni angolo della città sul mercato internazionale. In attesa di diffondere pure gli Uffizi, nelle piazze e nei vicoli sono spuntati come funghi tavoli apparecchiati e punti di partenza di nuovi percorsi esperienziali alla scoperta dei quartieri e degli angoli più “insoliti” del territorio comunale.
Come prima, più di prima… È questo che ci aspetta?
Difficile aver dubbi in proposito. Gli ingredienti per ripiombare nell’overtourism sembrano esserci tutti. L’impegno istituzionale profuso nella promozione territoriale comincia a dare i suoi frutti. Firenze è tornata ai primi posti nelle classifiche delle destinazioni best in travel. In quasi due anni di pandemia, del resto, molto si è fatto per aiutare l’industria del turismo a superare la crisi, anche concedendole altro spazio pubblico. Poco o nulla si è fatto, invece, per liberare i redditi dall’asservimento alla rendita, contrastando l’elusione che continua a essere strutturalmente troppo facile per molte attività, o riportando nella legalità l’ampia fascia di lavoro che la pandemia ha mostrato drammaticamente priva di tutele e garanzie. Nulla di concreto, infine, si è fatto per porre un freno alle voraci capacità dell’industria del turismo di erodere lo spazio abitativo, di conculcare il diritto alla quiete e al sonno, o quello di vivere la città come “semplice” residente, non consumatore forzato.
La chiamano delocalizzazione dei flussi. E’ la nuova chiave di volta del marketing per riaccendere le turbine del turismo globale con il carburante di una narrazione salvifica che tranquillizza tutti. Finirà per diventare, a tutti gli effetti, un semplice allargamento dell’ambito di espansione di quell’industria globale che del turismo e sul turismo campa, spazzando via tutto il resto.
Un’industria che, guardata nella sua complessità, ha un’impronta ecologica e sociale pesantissima, destinata a palesarsi però sempre troppo tardi.