Foto di copertina © Grazia Galli
È stato definito il petrolio di Firenze. E come il prezioso idrocarburo può lasciare inquinanti tossici. Il turismo di massa ha in questi ultimi anni invaso Firenze, città delicata con un difficile sistema di relazione tra territorio e abitanti. I prezzi al consumo sono aumentati e allo stesso tempo si è abbassata la qualità della vita. Stanno scomparendo le botteghe artigiane, i mercati di quartiere e i negozi di prossimità. Al loro posto sono sorti laboratori di “experience”, ristoranti, bar, supermercati, collegamenti con gli outlet. Il turismo nella più piccola delle città globali è divenuto tutto: risorsa e rendita, tesoro e dannazione.

Il settore è in forte espansione.
Si calcolano ormai in quasi diciotto milioni le presenze dei turisti che nel 2018 sceglieranno Firenze, e la tendenza è verso un’ulteriore crescita. Il fatturato che ne deriva, secondo i numerosi centri di studi turistici, si aggira già sui due miliardi di euro, con un indotto di circa ventimila posti di lavoro, poco qualificati e precari. La new economy fiorentina è tutta qui, priva di una strategia di diversificazione di scelte e investimenti. Firenze rischia e punta tutto sul turismo. Una scelta che ha contagiato molti, anche perché condivisa e incoraggiata dalla filiera di enti locali e associazioni di categoria.

Decine di migliaia di turisti consumano ogni giorno i luoghi della città antica imponendo una visione esclusivamente economica del turismo. I residenti osservano con angoscia la veloce adulterazione della città, senza che s’intravveda un progetto vero per evitare che dall’abbraccio di tanto turismo Firenze resti soffocata. I residenti sono le persone che a Firenze vivono, lavorano, studiano, appartenenti a diverse comunità linguistiche. La città “aperta” del tempo che fu, è magari assalita come il resto del Paese dalla paura per l’arrivo di qualche centinaio di migranti, ma stenta a comprendere che la perdita di identità non è un rischio dell’accoglienza solidale, ma il correlato dell’attenzione smodata al fenomeno turistico, alle persone in quanto consumatori e non più quali portatori di diritti e necessità.

A tutto questo noi non ci rassegniamo.

Vogliamo, piuttosto, contribuire a progettare una nuova identità di Firenze, aggiornata ai tempi e alle necessità. Una città capace di concepire il consumo di spazio del vivere comune non già rifiutando il turismo, ma trasformando questa risorsa in una sintesi accettabile tra sostenibilità economica ed ecologica. Vogliamo far si che il turista a Firenze cerchi la bellezza e non l’appariscenza, eviti la trappola della performance globale e comprenda il significato della Primavera del Botticelli senza sentirsi appagato solo dall’immediatezza di un selfie condiviso sui social.

Il futuro di Firenze non si trova nell’alzare le mura del passato. Occorre collegare il passato al futuro con scelte amministrative che tengano in considerazione chi a Firenze vive o arriva alla ricerca di un paesaggio urbano autentico. Il rischio, altrimenti, è che dell’autenticità del passato rimanga solo un vago ricordo nelle scelte strategiche dell’arredamento urbano, o nei marchi di consumo dei negozi per turisti.
Il futuro è importante quanto il passato. Per garantirsi un futuro Firenze deve scegliere se trasformarsi definitivamente nel parco giochi del turismo globale, oppure cercare un equilibrio possibile tra residenti e circuiti globali. Il turismo a Firenze deve essere sostenibile: nel rapporto di consumo, nell’offerta alimentare, nella mobilità urbana, nelle strategie amministrative.