Foto di copertina: La Virtù della Speranza. Arca di Sant’Agostino Basilica di San Pietro in Ciel d’Oro, Pavia.
L’infezione da SARS-CoV-2 induce un’evidente risposta anticorpale, e questa notizia suscita comprensibilmente molte speranze, giustificate per quanto riguarda la diagnostica, ancora premature però per quanto riguarda le proiezioni che già qualcuno si spinge a fare su una possibile immunità, individuale o di popolazione.
Tutti gli anticorpi legano, ma non tutti proteggono.
Avere anticorpi contro il virus, infatti, non significa automaticamente essere immuni all’infezione. Ancora non sappiamo, infatti, se gli anticorpi indotti dalla malattia siano protettivi. Per proteggerci dall’infezione gli anticorpi devono essere capaci di attaccarsi alla molecola che il virus usa come ancora per aderire alle nostre cellule e infettarle, neutralizzandone l’azione.
Al momento sappiamo che dopo qualche giorno dall’infezione nel sangue delle persone colpite compare una certa quantità di anticorpi in grado di riconoscere quest’ancora virale, ma ancora non è noto se siano in grado di bloccarla, o se siano presenti in quantità ragionevolmente sufficiente a prevenire una nuova infezione. Gli anticorpi indotti dall’infezione influenzale, ad esempio, legano principalmente molecole interne del virus e, al contrario di quelli indotti dal corrispettivo vaccino, solo in piccola parte sono in grado di riconoscere l’ancora virale e potenzialmente bloccare l’infezione. Tutti speriamo che non sia così nella risposta anticorpale all’infezione da SARS-CoV-2. E’ chiaro però che, finché non avremo informazioni (che per fortuna molti ricercatori stanno cercando alacremente) sulla reale capacità neutralizzante degli anticorpi circolanti nel sangue delle persone infettate e sulla quantità minima correlata alla protezione, disegnare strategie per uscire dal lockdown sulla base della semplice sieropositività è un azzardo.
Le informazioni preziose che è ragionevole attendersi dai test sierologici di massa.
I test sierologici di massa possono servire comunque molto, sia alla diagnostica sia per capire l’estensione e l’andamento dell’infezione nella popolazione. Gli anticorpi sono molecole complesse, evolutesi per svolgere con precisione la loro funzione: oltre alla parte ‘variabile’, quella che si attacca al virus per capirsi, hanno una parte ‘costante’ che serve ad attivare altri attori del sistema immunitario. Questa parte costante cambia anch’essa, ma in modo stereotipato. Nelle fasi iniziali della risposta contro un agente infettivo mai visto in precedenza la parte costante degli anticorpi prodotti è di classe “M”, poi, nel giro di qualche giorno cambia in classe “G”, che diventa di gran lunga quella prevalente (in alcuni casi accompagnata da una certa quantità di anticorpi di classe “A”).
Se nel sangue sono presenti anticorpi anti-virus in prevalenza di classe M è quindi ragionevole pensare che la persona sia da poco venuta a contatto con il virus e nelle fasi iniziali dell’infezione. Viceversa, nel caso in cui gli anticorpi misurabili nel sangue siano prevalentemente o esclusivamente di classe G (ed eventualmente anche A) è ragionevole dedurne che il contatto con il virus sia meno recente. Un’indagine sierologica estesa può quindi fornire informazioni molto importanti sia per la diagnosi individuale, sia per capire quanta parte della popolazione è stata infettata dal virus pur senza manifestare sintomi tali da rientrare nel monitoraggio effettuato con i cosiddetti “tamponi” (che rilevano il virus e non gli anticorpi). Saranno poi la clinica e i test diagnostici conosciuti come “tampone” a determinare se l’infezione sia ancora in atto o risolta.
Perché studi di questo tipo servano davvero, però, è importante che i laboratori siano dotati di test standardizzati, in grado di identificare anticorpi davvero specifici per questo virus e confrontabili tra tutti i centri.
Può sembrare un eccesso di zelo rigorista – specie ora che l’ansia di sapere è alle stelle – ma così non è e il perché è presto detto. Molte delle molecole presenti sul SARS-CoV-2 sono presenti anche su altri virus della stessa famiglia cui siamo esposti ripetutamente e da tanto tempo. Se il test usato per rivelare gli anticorpi contenesse una contaminante di queste molecole comuni si avrebbero un sacco di riconoscimenti ‘positivi’, che potrebbero in realtà non esserlo e falsare i risultati. Per la stessa ragione anche i reagenti usati nei test per rivelare gli eventuali anticorpi attaccati alle molecole virali dovrebbero essere molto specifici e comprendere, oltre a dei campioni di controllo sicuramente negativi, anche uno standard interno per consentire un confronto tra diversi soggetti e diversi laboratori, seppur semiquantitativo.
Insomma, anche quando si parla di anticorpi serve prudenza, perché se la speranza nasce dalle ipotesi, sono i fatti – e non le parole – a darle concretezza.
Grazia Galli