IL DAVID A SOLLICCIANO

intervento di Massimo Lensi pubblicato sul numero 359 di Cultura Commestibile del 20 giugno 2020

Ormai tutti hanno compreso che il futuro di Firenze, come quello dell’Italia, è e sarà pieno di grattacapi.

Ripartire sì, certo, ma con che piede? E poi, quali leve economiche spingere? La conseguenza, al netto dei sogni, è il fiorire di tesi e ipotesi, a volte mascherate da buon senso e arguzie di prossimità. Firenze è una città d’arte, simbolo di un preciso modello di sviluppo ancorato a doppia mandata all’industria turistica, parte importante del PIL locale e nazionale.

Siamo ormai nella “quasi” fase 3, quella della completa riapertura che, però, si accompagna ai problemi lasciati sul tappeto prima della pandemia. Uno di questi, almeno apparentemente, è come evitare che ritorni la gran cassa del turismo di massa. Il prodotto di consumo, in parte effimero, che ha messo in ginocchio il centro storico di Firenze provvedendo alla sua quasi definitiva “desertificazione” abitativa. Da più parti si levano idee per distribuire meglio sul territorio metropolitano i flussi turistici in arrivo.

Bene, la mia proposta è dunque di spedire il David di Michelangelo a Sollicciano, in galera.

Immagino di far sorridere, l’ho messo in conto: la mia proposta è a metà strada tra una provocazione e una prassi di stile, utile a ricordare che la città di Firenze è composita, costruita a incastri su diverse visioni di città. Una città variabile. Nel 1986, in un’intervista a Paese Sera, l’architetto Giovanni Michelucci raccontava del suo Giardino degli Incontri, che “Così nacque quella esperienza che considero tra le più belle e significative della mia vita”. Michelucci volle farne un luogo di bellezza all’interno del carcere di Sollicciano, dedicato alla città di Firenze proprio per incontrarla e aprirsi a essa. Da frequentatore attento di quell’istituto, ho sempre pensato che il Giardino fosse una chiave importante da utilizzare ancora oggi per creare un ponte tra carcere e città.

E allora, perché non trasferirvi dall’Accademia, per un congruo periodo, il David di Michelangelo con i suoi quattro Prigioni, il gruppo di statue eseguite per la tomba di Giulio II, Atlante in testa. Pensate! Il David e i Prigioni in carcere: ne parlerebbe il mondo.

Lo so, la mia è una provocazione, ma non è fine a se stessa: mi dà la possibilità comunque di ricordare che finito il concatenarsi delle emergenze strutturate, pur rimanendo ancora da sconfiggere il virus, le vecchie emergenze sono ancora tali, cristallizzate nel tempo infinito. Il carcere e i problemi legati alla carcerazione sono tra queste. Il David a Sollicciano creerebbe un circolo virtuoso tra città e istituzione totale e tra centro e periferie, porterebbe a far funzionare la pena rieducativa dando impiego a parte della popolazione detenuta per l’esposizione e guidare il pubblico. Gli incassi di biglietteria, inoltre, potrebbero essere d’aiuto per finanziare i tanti lavori interni di quella struttura. Si renderebbe concreto un modo di utilizzare le metafore e le confusioni per tirare dritto sulla difficile barra della legalità costituzionale.

Il David a Sollicciano diventerebbe metafora acuta di cosa si può fare per umanizzare il carcere con l’utilizzo delle straordinarie bellezze che la storia ci ha lasciato in eredità, esorcizzando, una volta tanto, la mercificazione consumistica che accompagna ogni volta un nuovo evento museale.

Un David umile e sociale che aiuta e si fa aiutare, adottando l’ultima creazione di Giovanni Michelucci per ricordare che Firenze, come tutta l’Italia, può certo cambiare volto, a patto che ritrovi la giusta sintonia con la sua lunga storia. Una storia di bellezze e di evocazioni. E piccole provocazioni.