IL FRAGILE RAPPORTO TRA BENE COMUNE E IMPRESA NELLE CITTÀ TURISTIFICATE

IL FRAGILE RAPPORTO TRA BENE COMUNE E IMPRESA NELLE CITTÀ TURISTIFICATE

Foto di copertina: Città ideale (fine XV sec.), dipinto di anonimo fiorentino, conservato al Walters Art Museum di Baltimora.

Un Comune è un ente a fini generali, autonomo nel definire la propria organizzazione statutaria e amministrativa, ha organi pienamente legittimati dal voto popolare e non è più vincolato a specifiche politiche di spesa. Ciò malgrado, capita sempre più spesso di leggere sui giornali appassionate analisi relative alla crisi della filiera delle autonomie locali. I continui tagli di risorse e le manovre finanziarie che impongono vincoli di spesa ai Comuni, giustificati dalla crisi finanziaria e dalle esigenze del patto di stabilità interno, si portano dietro – quasi sempre – gravi conseguenze nel tessuto urbano: aumento del costo dei servizi; enti locali che non pagano i fornitori;  pubbliche amministrazioni che reciprocamente non si pagano i debiti; cittadini che non pagano tasse, tariffe e multe. Infine, arriva qualche decreto sblocca-debiti e tutto va avanti “all’italiana”, senza, cioè, cercare di risolvere il cuore del problema.

La crisi del debito pubblico in Italia è antica come le montagne, ma uno dei punti forti della recente trasformazione del core business dei Comuni è quello di affidarsi alle regole dell’impresa, mutuando così un’impostazione che sempre di più si allontana dalla tutela del bene comune, per potersi avvicinare alla figura del Sindaco “impresario”. È il caso evidente delle città turistificate, che si consegnano alla rendita immobiliare e turistica senza mettere in alcun conto i pericoli che covano dietro alle loro scelte, e che ricadono per intero sulle spalle dei residenti spingendoli alla fuga: innalzamento del costo dei servizi, desertificazione dei centri storici, restrizione dello spazio abitativo, perdita di servizi e commercio di vicinato, aumento della precarizzazione del lavoro, sempre meno qualificato, al nero, malpagato.

Il problema è riassumibile nella scomparsa del rapporto tra Ente locale e bene comune, che finisce per essere sostituito con la struttura semantica dell’impresa. La figura dell’amministratore locale si consacra, per ragioni elettorali e politiche, al ruolo di imprenditore della mano pubblica, perfino a scapito di un ragionamento d’insieme che tenga conto dell’intera popolazione. Le parti fragili e marginali della società, finiscono, infatti, per essere sacrificate, come errori sociali, sull’altare traballante delle libertà economiche. Eppure dovrebbero trovarsi al primo posto delle tutele di un ente locale.

Una serie di errori d’impostazione tecnica e amministrativa portano a dimenticare il bene comune come elemento di coesione di una comunità territoriale. A volte capita addirittura di osservare che l’elemento fondante della comunità è trattato, paradossalmente, con le finalità di promozione territoriale: è il caso, per esempio, dei siti museali e monumentali delle città turistificate, trasformati senza colpo ferire in anonimi centri commerciali dell’economia globale. Le città turistificate dunque cambiano volto e, scomparsi i residenti, non hanno più difese contro la tenace avidità commerciale; di conseguenza la vita amministrativa si traduce in regole emergenziali che nient’altro fanno se non spostare sul presente e sul futuro i debiti del passato.