Le notizie che arrivano da molti istituti penitenziari fanno temere il peggio. Il carcere, come la rete delle RSA, si sta trasformando in frontiera del contagio. Le istituzioni totali sono per definizione luoghi chiusi; luoghi, secondo Erving Goffman, dove le persone sono relegate per un certo periodo di tempo, perché considerate pericolose per sé stesse o per gli altri.
Ora che il pericolo arriva dall’esterno le parti sono invertite e la funzione paternalistica del potere costituito sembra svanire nel nulla. Lo spazio e il tempo del prigioniero si offrono così a una nuova narrazione che unisce metaforicamente la persona anziana e disabile al detenuto.
Il prigioniero, scrive il poeta russo Iosif Aleksandrovič Brodskij che detenuto lo è stato veramente, si ritrova accerchiato, nello stesso momento, da una mancanza di spazio e un’abbondanza di tempo. Un tempo diverso da quello conosciuto dalla persona libera, che ne dispone a piacimento e lo organizza al meglio nell’arco della sua giornata. La parte più consapevole dei liberi, infatti, si sta organizzando per produrre gli anticorpi necessari al furto del proprio tempo. Se alcuni autori, come Jean-Paul Galibert, parlano esplicitamente di “cronofagia” per descrivere la predazione del tempo da parte degli attuali modelli di (non) sviluppo, nelle istituzioni totali lo scorrere delle ore è fatto di un’altra materia che, invece di scorrere, ristagna. Noi, persone libere, dal virus ci possiamo difendere; la nostra urgenza si concretizza nell’imparare i comportamenti giusti e nel calcolare la distanza di sicurezza, nel gestire cioè il nostro corpo in ragione del tempo che si dilata a piacimento.
Da molte parti si richiedono misure urgenti per ridurre la densità di corpi nelle celle dei nostri istituti penitenziari e nelle camere delle RSA. Si chiede di proteggere persone che hanno il nostro stesso diritto alla salute. La differenza è nello status di prigionieri, e nell’esposizione al rischio di contagio.
Dal Pontefice a esponenti della magistratura, fino al variegato mondo delle associazioni la richiesta è la stessa: anche nelle carceri sia rispettato il distanziamento di sicurezza che è imposto a tutti noi. Per poterlo fare non servono provvedimenti anomali o straordinari, ma la semplice attivazione degli istituti ordinamentali: arresti domiciliari, liberazione anticipata speciale, grazia presidenziale. In altre parole, porre fine al sovraffollamento.
Una pericolosa normalità è sempre dietro l’angolo a ricordarci che la vita dei più fragili e degli ultimi è il corollario di una società che non può permettersi di ripetere gli stessi errori.
Massimo Lensi