LA NUOVA BANCA DATI DELLE STRUTTURE RICETTIVE NASCE ZOPPA. MANCANO TRASPARENZA E DISTINTE CLASSIFICAZIONI D’USO PER LA RICETTIVITÀ EXTRA-ALBERGHIERA

LA NUOVA BANCA DATI DELLE STRUTTURE RICETTIVE NASCE ZOPPA. MANCANO TRASPARENZA E DISTINTE CLASSIFICAZIONI D’USO PER LA RICETTIVITÀ EXTRA-ALBERGHIERA

E’ notizia di questi giorni la firma del decreto ministeriale che disciplina la banca dati nazionale delle strutture ricettive e degli immobili destinati agli affitti brevi. Il provvedimento, previsto dal decreto legge n. 34 del 30 aprile 2019, avrà ora bisogno di regolamenti attuativi e di tempo per tradursi in realtà operativa. Alla luce di quanto si è visto in Regioni che, come la Toscana, avevano già istituito banche dati analoghe, è ragionevole pensare di dover attendere qualche anno prima di vederlo andare a regime.

Se mai ci andrà, ci permettiamo di aggiungere.

Il punto dolente, infatti, è sempre lo stesso già sperimentato con le banche dati istituite per migliorare le statistiche del turismo, la riscossione della tassa di soggiorno e le notifiche alle Questure: l’impossibilità di procedere a controlli capillari su un settore ormai troppo vasto per gli strumenti e il personale a disposizione. Nel corso degli ultimi anni si è assistito a un vero e proprio boom della ricettività extra-alberghiera, che ha pressoché eguagliato (in alcuni ambiti addirittura superato) il numero di posti letto offerti dalle strutture alberghiere convenzionali. Censire tutte queste attività è perciò compito di notevole difficoltà. Oltretutto, se l’apertura di un hotel difficilmente passa inosservata, poiché è subordinata all’ottenimento di tutta una serie di permessi e al possesso di specifici requisiti urbanistici – tra cui la destinazione d’uso prevista per l’immobile che deve essere “ricettiva” – così non è per gran parte delle strutture extra-alberghiere. In Toscana e, da quel che ci risulta, in gran parte d’Italia, l’apertura di attività ricettive in case vacanze, residenze storiche, bed & breakfast, affittacamere è decisamente più sfuggente poiché esse, esattamente come le locazioni turistiche brevi di parte o interi appartamenti, possono svolgersi in immobili destinati a uso residenziale, spesso indistinguibili da quelli abitati da residenti di lungo periodo. Teoricamente, l’apertura di queste attività dovrebbe essere notificata con la SCIA (segnalazione certificata di inizio attività), e, come per gli alberghi, chi conduce queste imprese sarebbe tenuto a notificare numero e generalità degli ospiti identità alle istituzioni preposte a redigere le statistiche del turismo e alla Questura.

Chi e come può, però, accorgersi se non lo fa?

Che sia fin qui stata possibile una vasta zona grigia di elusione, quando non addirittura di evasione totale, è del resto una largamente condivisa spiegazione delle difficoltà nella riscossione della tassa di soggiorno, delle stime invariabilmente al ribasso delle statistiche sui flussi turistici cui si devono affidare le istituzioni, nonché dei conti che non tornano tra quantità di rifiuti prodotti e numero di domiciliati o residenti risultanti all’anagrafe, o di tante situazioni che quotidianamente si sperimentano nei condomini di città come Firenze. La più eclatante, rimbalzata alle cronache durante il lockdown è stata l’improvvisa “scomparsa” dal centro storico della città gigliata di circa il 20% dei residenti risultanti nel periodo immediatamente precedente, in cui la città era piena di turisti.

Poiché anche la nuova banca dati nazionale dovrà fronteggiare gli stessi problemi, desta sconcerto che si presuma di farlo con gli stessi strumenti di sempre, quando con poco sforzo se ne potrebbero avere di più efficaci.

Insieme al Sunia e tanti altri attori che seguono da vicino le conseguenze della turistificazione senza regole delle città, insistiamo già da tempo sulla opportunità di rendere disponibili online mappe georeferenziate delle attività registrate nelle banche dati pubbliche e, soprattutto, sulla necessità di introdurre nei piani urbanistici una specifica classificazione d’uso dedicata agli immobili destinati a ospitare attività ricettive, di qualunque tipo esse siano . Insieme, questi due provvedimenti assicurerebbero agli enti preposti alla gestione e all’uso delle banche dati un flusso d’informazioni assai più accurato dell’attuale, anche grazie alla possibilità di controlli incrociati con le anagrafi condominiali. Chi vive in condominio ben sa, quanto sia importante, ai fini di un’equa ripartizione dei costi, che la redazione di tabelle millesimali preveda parametri indicizzati anche rispetto alla classificazione d’uso degli immobili. L’uso di parametri di questo tipo è pratica corrente per differenziare i consumi di attività aperte al pubblico (come uffici, alberghi, scuole, studi medici ecc.), per loro natura più impattanti su spazi e servizi comuni (fosse biologiche, ascensori ecc.) rispetto ad appartamenti abitati da nuclei famigliari (ne abbiamo scritto in dettaglio qui). Vale per gli uffici, i negozi e per l’appunto gli alberghi. Non vale, e a oggi non si può far valere, per le strutture ricettive extra-alberghiere appartenenti alle categorie suddette, i cui costi di impresa ricadono perciò su tutto il condominio in cui operano.

Basterebbero un po’ di trasparenza in più e una nuova classe urbanistica dedicata a tutte le strutture ricettive extra-alberghiere per ottenere un salto di qualità enorme nell’efficienza amministrativa e dare agli enti locali migliori strumenti di governo del territorio. Perché non farlo, dunque?