LA TASSA DI SOGGIORNO SERVE AL TURISMO NON ALLA CITTÀ

Nelle città meta di milioni di turisti e visitatori la tassa di soggiorno diventa fin troppo facilmente una trappola in cui la vita amministrativa finisce per trovarsi imbrigliata in voci di spesa che non può davvero controllare perché vincolate ad alimentare proprio il motore che ne fa crescere costi e necessità.

Per capire cosa davvero copre la tassa di soggiorno, conviene andare a leggere direttamente le norme che autorizzano alcuni Comuni a imporla. L’articolo 4 del Decreto Legge n. 23 del 14 marzo 2011 al comma 1 recita:

“I comuni capoluogo di provincia, le unioni di comuni nonché i comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte possono istituire, con deliberazione del consiglio, un’imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio, da applicare, secondo criteri di gradualità in proporzione al prezzo, sino a 5 euro per notte di soggiorno. Il relativo gettito è destinato a finanziare interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali.”

Dunque, una tassa che si applica solo a chi dorme – e già paga il pernottamento – in strutture ricettive, pubbliche o private che siano. A quale scopo? La chiave è nel secondo capoverso. Lasciando per un attimo da parte l’apparentemente incomprensibile “sostegno alle strutture ricettive”, si potrebbe esser tentati di convenire che almeno le attività rivolte alla manutenzione e fruizione di servizi pubblici e recupero di beni culturali e locali possano riguardare tutti e rientrare così nella definizione di “costi sociali”.

Sarebbe però un grossolano errore, perché le attività elencate sono finanziabili con la tassa di soggiorno non in quanto tali, ma solo se giustificabili come “interventi in materia di turismo, proprio come le strutture ricettive, la cui menzione acquista ora una coerenza logica.

Tradotto in esempi pratici: con la tassa di soggiorno a Firenze si può coprire la pulizia di strade e piazze in zona Unesco, almeno in parte la pulizia dei viali, ma non quella di zone già più periferiche, come via ponte alle Mosse e ancor meno via Pistoiese, viale Europa, viale Milton, viale Volta, via di Soffiano ecc. Idem dicasi per i servizi del trasporto pubblico: quanto di competenza comunale in associazione alle tramvie che connettono il centro con i parcheggi scambiatori magari sì, gli autobus per piazzale Michelangelo anche, ma gli autobus per Brozzi, Sorgane o Nave a Rovezzano no, i bussini in centro nì, almeno finché ai turisti basteranno taxi e Ncc.

Ancora, ragionando per analogia: il Giardino di Boboli e il parco di Carraia sì, le Cascine nì e in futuro forse sì (ne abbiamo parlato qui), quelli delle scuole no, ma se sono nel centro storico e aperti al pubblico magari si, i giardinetti a San Jacopino no, un camping o un ostello pubblico sì, le case popolari no …

Si arriva così a realizzare quanto in concreto i residenti della città possano beneficiare della tassa di soggiorno per sostenere i servizi che davvero gli servono: poco o nulla. Piuttosto, i servizi che si possono coprire con la tassa di soggiorno sono proprio quelli che i fiorentini sentono maggiormente sottratti alla loro fruizione, proprio a causa di un turismo che si è fatto eccessivo.

Per questo e per molti altri motivi di cui abbiamo scritto qui, siamo convinti che sia giusto, opportuno e urgente abolire la tassa di soggiorno in ogni sua forma. Riteniamo che questa forma di tassazione sia iniqua e sia stata concepita e poi applicata senza riflettere sulle pericolose dipendenze che può creare per le città che le adottano.