Foto di copertina © Emanuele Baciocchi
Un tempo, nemmeno troppo remoto, Firenze non era grande come appare oggi. Non che adesso sia enorme, nonostante il suo costante espandersi nel corso della storia. Intorno ad essa numerosi erano i piccoli agglomerati, già fiorentini nell’anima probabilmente, ma forti di una propria e robusta specificità. Ci piace immaginare, a noi cittadini di un tempo in cui tutto cambia alla velocità della luce, quanto la vita a pochi passi dal centro potesse scorrere lenta, scandita dal ritmo della natura e dai suoni di un lavorio d’artigiani che per quelle comunità era fonte di sostentamento e orgoglio.
Una di queste comunità era Brozzi.
Sedici chilometri quadrati di territorio a nord ovest di Firenze e oltre 12 mila abitanti, un borgo dedito alla lavorazione della paglia, i cui prodotti erano rinomati ovunque, e con una forte coscienza sociale. Brozzi fu Comune, dal 1809, anno della sua costituzione ad opera della Granduchessa di Toscana Elisa Baciocchi e lo rimase fino al 1928. Il suo territorio comprendeva molte frazioni, i cui nomi persistono tuttora nella toponomastica dell’area fiorentina. Si chiamavano San Donnino, Peretola, Osmannoro. Tre località destinate, nel bene e nel male, a diventare famose nel corso del Novecento. E poi, Quaracchi, Petriolo, La Sala e San Mauro, oltre, ovviamente, al borgo di Brozzi, il “centro”. Un centro che oggi ricorda l’antica sede del proprio consiglio comunale con una targa apposta su un edificio in piazza Primo Maggio, ora sede di un ordine di suore. Il bellissimo stemma del Comune raffigurava il Padule dell’Osmannoro, un’oasi naturale oggi quasi pressoché scomparsa, soffocata da capannoni industriali, autostrade, aereoporto, discarica e nuovi progetti.

Lo smembramento di Brozzi.
Poi venne il ’28. L’Italia fascista esigeva città grandi per competere con altrui grandezze, e se questo significava calpestare quella meravigliosa anima popolare dei piccoli villaggi operosi, felici e in gran parte immuni alla retorica del regime, poco importava. Brozzi venne dilaniata, le sue frazioni spartite tra i comuni limitrofi. San Donnino la prese Campi, l’Osmannoro fu assorbito da Sesto, Peretola, Quaracchi, Petriolo e la stessa Brozzi inglobate nella grande Firenze.
“Brozzi Peretola e Campi la peggio genìa che Cristo stampi”
Così diciamo noi del centro. Al di là della fiorentinissima ironia, occorre oggi riconoscere che la peggio genìa è stata quella che nel corso degli anni ha trasformato ridenti borghi in periferie degradate, che tuttora lottano disperatamente per mantenere una qualità di vita degna di cittadini “uguali” e si sente trattata come marmaglia di serie cadetta.
Brozzi è, dunque, Firenze.
Lo è stata per annessione coatta durante la dittatura, lo è stata nel settantennio successivo anche se colpevolmente relegata ai margini. Lo è adesso, soffocata da centri commerciali, traffico e incuria. Brozzi però non è Firenze per il colosso cinese Mobike che gestisce il bike sharing in città. Da qualche tempo, infatti, Brozzi (ma anche Peretola e altre fiorentinissime zone) è tra le aree in cui non è consentito chiudere la corsa delle biciclette e ciò, di fatto, impedisce l’uso del bike sharing a chi vi abita. E se questo è in sé una vergogna, è anche l’ennesimo segnale di quanto chi amministra Firenze stia ormai dimenticando i propri cittadini e si occupi senza ritegno solo di turisti. Turisti che, peraltro, non vedranno mai Brozzi, la sua storia, le sue ville, né mai, come del resto i nuovi fiorentini, sapranno che Brozzi un tempo ebbe un Re, il sovrano di una delle Potenze Festeggianti. Men che meno, qualcuno li informerà che Amerigo Vespucci, esploratore delle Americhe, è nato qui.