Foto di copertina © Massimo Lensi
Un articolo pubblicato lo scorso anno, sulla Harvard Business Review titolava: La limitazione degli affitti di Airbnb riduce lo sviluppo. Andando al di là del titolo – chiaramente disegnato per acchiappare il click di chi si accontenta di conclusioni parziali, l’articolo descrive i risultati di un interessante studio condotto da un gruppo di ricercatori guidati da Davide Proserpio in alcune città americane che hanno introdotto limiti severi alle locazioni brevi. In un precedente lavoro gli stessi Autori avevano dimostrato inequivocabilmente che, in assenza di restrizioni la diffusione degli affitti brevi gonfia il mercato immobiliare fino a renderlo impraticabile per chi cerca una casa da abitare. In questo più recente lavoro sono stati presi in esame alcuni specifici aspetti delle economie locali, ovvero le transazioni immobiliari, le attività edilizie e le relative tasse locali ad esse connesse, per valutare gli effetti dell’introduzione di norme restrittive su questi aspetti dell’economia locale. Lo studio è stato applicato a 15 metropoli negli Stati Uniti, con un focus più approfondito sulla Contea di Los Angeles dove è stato possibile mettere a confronto aree in cui erano presenti restrizioni agli affitti brevi e aree in cui non vi era alcuna limitazione. In sintesi, i risultati dello studio evidenziano che nel lungo periodo la presenza di restrizioni agli affitti brevi si traduce in una diminuzione di attività edilizie, con conseguente calo dei prezzi di vendita degli immobili e dei proventi dalle tassazioni su queste attività. Il focus sulla Contea di Los Angeles mostra poi che nelle zone contigue a quelle dove sono presenti restrizioni i valori immobiliari invece aumentano.
È sufficiente tutto ciò per concludere che imporre restrizioni agli affitti di Airbnb nuoce allo sviluppo?
No, a meno di non ritenere che lo sviluppo (parola sul cui significato molto ci sarebbe da discutere) non sia da ricondurre unicamente all’edilizia, al suo indotto e alla rendita immobiliare, o che queste attività oltre a produrre lavoro e introiti per le amministrazioni locali attraverso la tassazione non consumino a loro volta suolo, servizi e risorse sottraendole alla disponibilità di altre tipologie di impresa. Il titolo dell’articolo è quindi decisamente fuorviante.
I risultati dello studio però sembrano sufficientemente solidi da permettere di provare a immaginare, con qualche dato di concretezza, gli effetti che una legge sullo stile di quella proposta dal Sindaco Dario Nardella potrebbe provocare nel breve e medio periodo in una città come Firenze.
Per quanto abbiamo sin qui letto e ascoltato, la proposta di legge di “iniziativa popolare” per la “Salvaguardia del decoro, della vivibilità e dell’identità dei centri storici” prefigurerebbe anche la possibilità di introdurre restrizioni agli affitti brevi in specifici “nuclei” storici, senza però andare a intaccare quanto già preesistente all’entrata in vigore della legge (qui il testo che abbiamo ricevuto dalla Segreteria del Sindaco). I fenomeni di mercato osservati nello studio di Proserpio et al. suggeriscono che imporre restrizioni agli affitti brevi unicamente nei nuclei storici potrebbe avere come effetto principale quello di promuovere la diffusione di queste attività nelle aree immediatamente circostanti, dove crescerebbero investimenti e speculazioni immobiliari a discapito della popolazione residente e dei tanti in cerca di una casa a prezzi accessibili. Viceversa, nei cosiddetti “nuclei storici” i valori immobiliari dovrebbero andare a diminuire come anche gli investimenti, forse riportando qualche immobile nel mercato abitativo.
Attenzione però, il forse qui è d’obbligo e da intendersi limitato ai nuclei storici dove il fenomeno degli affitti turistici al momento dell’entrata in vigore della legge è ancora marginale.
Per il centro storico di Firenze, dove a fine 2018 Insideairbnb localizzava 6653 degli oltre 8600 annunci per interi appartamenti in locazione breve presenti in città (divenuti 6106 su 7850 a inizio 2022), le cose sembrerebbero destinate ad andare diversamente. Infatti, a differenza delle normative introdotte in varie città negli Stati Uniti e altrove in Europa, la proposta di legge illustrata d Dario Nardella non sembra disporre in alcun modo dei limiti alle attività già in essere. Come più d’uno ha già preconizzato in base al mero buon senso, rinunciare in partenza ad agire sull’enorme numero di attività di locazione turistica ormai consolidatosi nel centro storico di Firenze, rischia di porre le basi per una cristallizzazione, se non addirittura un incremento, del valore sia degli immobili in cui tali attività operano sia dei “marchi” a esse associati. Al contrario, i pochi residenti e piccoli esercizi ancora sopravvissuti nel centro storico si troverebbero costretti, in virtù dell’art.3 della legge che si vorrebbe disegnata proprio a loro salvaguardia, ad accollarsi spese ulteriori per la manutenzione degli immobili di loro proprietà rispetto a quanto già previsto dalle norme ora in vigore. Qualora la legge venisse approvata, infatti, spetterà a ciascun Comune provvedere alla “definizione delle misure conseguentemente necessarie a recuperare adeguati standard di qualità, funzionalità e bellezza, secondo quanto previsto dai successivi articoli 4, 5, 6”.
In conclusione, la proposta di Nardella ha indubbiamente il merito di perseguire un adeguamento del regime giuridico rispetto a fenomeni ora incontrollati. Peccato però che, quand’anche dovesse riuscire a superare le sabbie mobili parlamentari, una siffatta legge avrà effetti solo in futuro, limitandosi alle sole attività di affitto breve che dovessero aprire dopo la sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e, per giunta, senza affrontare l’intero ambito della ricettività esercitabile in immobili residenziali (B&b, pensioni, affittacamere, ecc.).
Quel che poi davvero delude le aspettative è che nello scriverla si sia preferito ridurne notevolmente l’ambito potenziale di applicazione ancorando la futura legge alla vigente normativa sulla tutela del paesaggio e dell’identità culturale, anziché focalizzarsi sull’obiettivo principale di recuperare spazio abitativo e di impresa in interi città e territori dove l’intensa diffusione degli affitti brevi sta creando una intollerabile tensione abitativa e crescenti disuguaglianze.
Un obiettivo questo, che sarebbe stato possibile con un semplice richiamo della normativa nazionale ai chiarimenti interpretativi della Direttiva UE 2006/123 forniti dalla Grande Sezione della Corte europea di Giustizia nella sentenza C:2020:743 del 20 settembre 2020. [1]
Disperdere credibilità ed impegno nel perseguire come prioritario il conseguimento di una fumosa dilatazione della potestà amministrativa dei Sindaci, peraltro dalle immaginabili conseguenze securitarie e iper musealizzanti, ha dei costi. L’accoglienza diffidente e beffarda riservata alla proposta del Sindaco da gran parte dei residenti, fuori e dentro il centro storico, ne è la dimostrazione.
Oltretutto, non può certo sfuggire ad alcuno che la forte crisi economica e la crisi climatica in divenire potrebbero abbassare in maniera consistente la domanda turistica generale. Il turismo è esposto più di altri settori economici agli sbalzi inflazionistici o recessivi e alle variabili climatiche. La drammatica esperienza vissuta con la pandemia è ancora ricordo vivo, ma non è riuscita a trasformarsi in esperienza e saggezza.
Oggi l’industria turistica ha ripreso il comando con gli stessi codici operativi di quel modello di sviluppo urbano uscito con le ossa rotte da biennio pandemico, salvato solo dalle politiche nazionali dei ristori e ora incentivato da politiche di marketing territoriale spinte al parossismo, come se non ci fosse un domani. Il futuro, però, è ancora molto incerto. Gli enti preposti a governare o amministrare il territorio e le città dovrebbero saper definire la loro azione anche sulla base dei rischi futuri e dei servizi che saranno necessari e possibili, non lasciandosi dominare da un presente dai contorni labili e incerti.
[1] Di particolare rilevanza in questo caso i punti 3 e 4 della pronuncia della Corte:
“3) L’articolo 9, paragrafo 1, lettere b) e c), della direttiva 2006/123 deve essere interpretato nel senso che una normativa nazionale che, per motivi diretti a garantire un’offerta sufficiente di alloggi destinati alla locazione a lungo termine economicamente accessibili, assoggetta talune attività di locazione dietro corrispettivo di locali ammobiliati destinati ad abitazione ad una clientela di passaggio che non vi elegge domicilio, esercitate in maniera reiterata e per brevi periodi, ad un regime di autorizzazione preventiva applicabile in determinati comuni in cui la tensione sui canoni di locazione è particolarmente elevata, è giustificata da un motivo imperativo di interesse generale relativo alla lotta contro la scarsità di alloggi destinati alla locazione e proporzionata all’obiettivo perseguito, dato che quest’ultimo non può essere conseguito tramite una misura meno restrittiva, in particolare in quanto un controllo a posteriori interverrebbe troppo tardi per avere reale efficacia.
4) L’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2006/123 deve essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale che istituisce un regime che subordina ad un’autorizzazione preventiva l’esercizio di talune attività di locazione dietro corrispettivo di locali ammobiliati destinati ad abitazione, che è fondata su criteri relativi al fatto di concedere in locazione il locale di cui trattasi «in maniera reiterata, per brevi periodi, ad una clientela di passaggio che non vi elegge domicilio» e che conferisce alle autorità locali il potere di precisare, nell’ambito stabilito da tale normativa, le condizioni di rilascio delle autorizzazioni previste da detto regime alla luce di obiettivi di varietà sociale e in funzione delle caratteristiche dei mercati locali delle abitazioni e della necessità di non aggravare la scarsità di alloggi, combinandole, se necessario, con un obbligo di compensazione sotto forma di trasformazione accessoria e concomitante di locali aventi un altro uso in abitazioni, purché tali condizioni di rilascio siano conformi ai requisiti stabiliti da tale disposizione e detto obbligo possa essere assolto in condizioni trasparenti e accessibili.”