Foto di copertina: pianta della vecchia prigione di Millbank (Londra), con una torre di sorveglianza al centro
Firenze, 30 dicembre 2019
Il Comune di Firenze ha recentemente inaugurato la telecamera di sorveglianza numero mille. Un obiettivo annunciato in campagna elettorale dal sindaco come risposta alla domanda di sicurezza che pervade da anni la nostra società.
Una risposta illuminante, che ci racconta molto sul delicato rapporto tra politica e richieste sociali e tra controllo e disciplina.
Sul territorio comunale di Firenze sono attivi tre istituti penitenziari, in grado di contenere fino a circa novecento persone ristrette: il Nuovo Complesso Penitenziario “Sollicciano”, l’Istituto Penale Minorile Meucci e la Casa Circondariale Gozzini (ex Istituto a Custodia Attenuata per il Trattamento dei Tossicodipendenti, ICATT). Una delle chiavi di successo del populismo penale è proprio l’incontro tra preoccupazione securitaria e strumentalizzazione politica, fra il buonsenso e i propri interessi. Il populismo penale funge, infatti, da raccoglitore di insicurezze individuali trasformate forzatamente in istanze sociali. Una posizione che è sita a metà strada la “cattiva fede” sartriana e la foucaultiana mancanza di “coraggio della verità”.
Firenze è anche una città turistificata, all’interno della quale i meccanismi di profilazione sociale, grazie alle innovazioni tecnologiche, funzionano meglio che altrove.
Le telecamere di videosorveglianza sono la metafora più calzante della città controllata per esigere da essa il massimo del profitto in termini economici, con il necessario corollario di marginalizzare e limitare dissenso e contestazione. La selva di leggi in materia di sicurezza (Decreto Sicurezza Bis in testa) fa il resto. La relazione tra città e carcere, a questo punto, risulta evidente. Michel Foucault ha sempre posto al centro del suo lavoro di indagine il concetto di Panopticon [1], un edificio a struttura circolare in cui un solo individuo riesce a monitorare e avere sotto controllo l’attività di tutti gli occupanti: più è alto il numero di informazioni possedute, più l’azione di sorveglianza risulta efficace e produce a sua volta delle nuove informazioni. Il Panopticon, più che rappresentare un ideale carcerario, ha funzionato come modello generale per ogni forma di organizzazione strutturale, come gli ospedali, le fabbriche e le scuole; tutti luoghi che riuniscono e permettono di tenere sotto controlli specifici segmenti sociali attraverso meccanismi quotidiani. È questa la tecnologia politica che Foucault definisce “società disciplinare”. Occorre aggiungere, che, a livello generale, la nostra giustizia penale si basa sulla responsabilità individuale. La responsabilità è un fatto decisamente culturale, ha implicazioni legali, morali, psicologiche e filosofiche.
Mettendo l’individuo solo di fronte al proprio atto, la società esonera se stessa dalla propria responsabilità nella produzione e costruzione sociale delle illegalità. Le individua, e delimita, all’interno delle categorie socialmente ed economicamente più fragili, e/o più marginilizzate per ragioni etnorazziali, in qualche caso politiche.
Lo scopo principale di Foucault era quello di evidenziare il passaggio storico dalla punizione pubblica alla sorveglianza in termini politici. Inquadrata in questa luce la questione del castigo e dell’esecuzione di pena non possono basarsi solamente su una teoria idealista della giustizia; devono necessariamente inserirsi in una teoria realista dell’uguaglianza che renda cosciente la società tanto del proprio passato quanto del proprio presente. Altrimenti, il rischio di dividere e marginalizzare diventa una certezza da mettere in conto.
Aumentare il numero di telecamere di videosorveglianza in una città che ha alla base un modello di sviluppo tipicamente liberista, incentrato sull’industria turistica, mentre al contempo si chiede un carcere nuovo di zecca, magari con una maggiore capienza, al posto delle fatiscenti strutture esistenti, spalanca la porta alla società disciplinare preconizzata da Focault.
Le grigie e nebulose maglie di regole e leggi in materia di gestione dei dati provenienti dalla videoregistrazione dei comportamenti individuali, l’assenza e di una chiara progettualità per costruire intorno a un eventuale nuovo carcere a Firenze un forte rapporto con il territorio, potrebbe aprire la strada a un periodo di incertezze e turbolenze sociali, rendendo vani i tentativi di porre nuove tutele ai diritti sociali e individuali.
[1] il carcere ideale progettato nel 1791 dal filosofo e giurista Jeremy Bentham, conosciuto per aver teorizzato la dottrina utilitaristica.