MA PIAZZA DALMAZIA NON È LA TIMES SQUARE DI RIFREDI

MA PIAZZA DALMAZIA NON È LA TIMES SQUARE DI RIFREDI

Caro direttore,

apprezzo gli sforzi del Corriere Fiorentino per animare una riflessione collettiva sul futuro di Firenze. Per carità di patria, mai mi azzarderei a definire nuovo Rinascimento il futuro che ci aspetta. La crisi economica si sta manifestando e i dati parlano chiaro; il problema, però, è globale, non solo fiorentino. L’aspetto metodologico diventa perciò fondamentale, anche perché oggi siam tutti d’accordo sulla definizione degli obiettivi, ma tra qualche giorno ci divideremo sul come realizzarli. È sempre utile ricordare la figura di Gualtieri di Brienne, il “Cottarelli” della grande recessione che avvolse Firenze nel 1343. Prima chiamato a gran voce per risolvere i problemi del debito pubblico fiorentino, poi cacciato a pedate nel fondoschiena quando oltrepassò i limiti della ristrutturazione e della tirannia. Firenze non è una città facile, e, sinceramente, non ho ancora capito se sia davvero policentrica come vorrebbe far intendere il Sindaco Nardella. Per capirsi: Piazza Dalmazia non è la Times Square di Rifredi. Ricordo, però, il dibattito che si svolse nella nostra città alla fine del secolo scorso tra i fautori del policentrismo e quelli della città diffusa. Temi e spunti che arrivarono alla realizzazione dei piani regolatori dell’epoca e di quei progetti urbani che segnarono la nostra città nel dopoguerra. Come non ricordare il piano metropolitano dell’architetto Edoardo Detti del 1962, svuotato dal suo significato già al momento dell’approvazione? O le vicende politiche che costarono il mandato al Sindaco La Pira per il suo avveniristico progetto di costruzione del quartiere di Sorgane (raccontate mirabilmente in un libretto di Francesco Gurrieri “La Pira. La città. L’urbanistica”, Firenze, 2012)? La Firenze policentrica può essere una bella evocazione, ma dobbiamo anche riempirla di contenuti, a partire proprio dal centro storico di Firenze e allargandone la visione all’intera area metropolitana.

La crisi economica imporrà una riflessione a tutto tondo a partire dalla scelte che Firenze ha compiuto nell’era pre-pandemica. Il turismo di massa non sarà – come dicono alcuni – una monocoltura economica, però è sotto gli occhi di tutti che abbia stravolto il centro storico disconnettendolo dal resto della nostra città. Una città policentrica se non ha un centro popolare attivo e connesso non è una città. Il centro dei “centri” dal punto di vista urbanistico, economico e strategico è fondamentale e sullo sfondo spunta la definizione, come nel 1343, di un nuovo modello di sviluppo locale. Ripensare il turismo, significa ora concentrarsi sull’alternativa. Occorre prendere atto che la pandemia ha innescato anche una reazione, psicologica ed economica insieme, imponendoci regimi di consumo essenziali e diversi da prima.  Diventa quindi cruciale ora capire fino a quando, e soprattutto come, ci adatteremo alle nuove modalità di consumo. Prevarrà la spinta alla rimozione collettiva inducendo il nostro immaginario a rispettare la regola del “non è accaduto niente”? Difficile a dirsi oggi. L’Organizzazione Mondiale del Turismo, per esempio, non prevede per tutto il 2021 una ripresa del turismo internazionale. Riconcepire una città come Firenze perciò non può che partire dai temi del lavoro e dei servizi strategici, e dalla chiara separazione concettuale tra aiuti allo sviluppo e aiuti per l’assistenza.

E allora partiamo proprio da qui: la “rivoluzione” potrebbe così procedere di pari passo con la ristrutturazione del debito pubblico locale. Lo so, è un’iperbole che rasenta quasi la provocazione: un ente locale non emette titoli e non può risanare direttamente il debito, ma può fare molto se si apre alla città per imporre il dibattito su quali motori dello sviluppo locale accendere e quali frenare. E quali leve e quali volani economici introdurre per coadiuvare il settore privato nella difficile operazione della riconversione e della ripartenza. Anche in questo il centro di Firenze potrebbe offrire la sua immagine per promuovere la città a livello internazionale, ma solo se saprà slegarlo dall’industria turistica e dalla rendita passiva e connettendo strettamente il suo intero popolo a un mondo produttivo nuovo legato alla sostenibilità ambientale e sociale, alla ricerca, all’università, all’innovazione tecnologica. Giovanni Michelucci amava dire che il senso della città è soprastorico e che il modello urbano ha bisogno di un’incessante attività fantastica. Era la sua “città variabile”, forse preferibile alla staticità di una città policentrica.

Massimo Lensi – Associazione Progetto Firenze

Intervento pubblicato sul Corriere Fiorentino del 22 maggio 2020