Foto di copertina © Massimo Lensi
Firenze è una città di antiche tradizioni. La solidarietà ha sempre fatto parte del suo essere città aperta, vissuta dagli abitanti come fatto sociale e individuale, elemento vivo di esperienza e conoscenza. L’attitudine è sempre stata quella di guardare all’altro in relazione alle sue necessità e alle consuetudini della collettività.
Il degrado che nasce dalla mercificazione dello spazio urbano.
Oggi, invece, la marginalità non è più considerata il tessuto fragile della città da proteggere. In nome del turismo globale che manipola edifici, simboli, culture e immaginari, la fragilità è estromessa, è diventata degrado. L’attenzione non è più reciproca e, che si parli di barboni, migranti, anziani o persone con disabilità psichiche o fisiche, la tendenza è verso l’esilio dal centro della città. Oggi a Firenze, quelle che per molti sono debolezze, fragilità da soccorrere, sono diventate degrado e non devono apparire. Firenze deve essere bella, rinascimentale, appariscente e, soprattutto, vendibile. Non è adatta ai poveri la vuota città di Botty & Celly.

La città è di tutti.
Progetto Firenze vuole tutelare le marginalità, recuperarle al tessuto cittadino, inserirle nel mondo urbano e dimostrare nei fatti che la città, dal centro fin nei suoi angoli più remoti, è uno spazio urbano di tutti e non una merce. Siamo contrari alle ordinanze di sindaci che s’improvvisano prefetti – che siano provvedimenti contro il bivacco e gli ubriachi, o sistolate di acqua per impedire di mettersi seduti sui sagrati delle chiese – e siamo distanti dalla concezione di città fortezza che questi provvedimenti emanano. Si chiama urbanistica della repressione, ed è molto apprezzata in Cina. Si preferisce assecondare la percezione di sicurezza piuttosto che elaborare un progetto serio sulla marginalità e sullo stress urbano. Il turismo globale, ubriaco di appariscenza, fa la differenza e detta l’agenda politica.

Siamo invece per invitare a far parte della città tutti coloro che sono disposti a interpretare la città per quello che è, attraverso gli strumenti dell’informazione e dell’educazione alla consapevolezza. Vogliamo che la città sia piena di panchine, per far riposare la stanchezza magari leggendo un libro, in attesa che la molecola della bellezza entri nel tessuto connettivo del turista sostenibile. Vogliamo bagni pubblici ovunque e gratuiti. E vogliamo che nella città ci sia spazio vivibile anche per chi abita la strada (galleria di foto).
Poveri quelli cui mancano le piazze.
In una bellissima poesia Patrizia Cavalli, descrive la piazza come un posto vuoto che tale deve restare. Dare una funzione a una piazza è come ucciderla, usarla per escludere la marginalità significa stravolgerla. Come dice la Cavalli, la piazza è “un vuoto generoso di potere”. La piazza è di tutti.