In copertina uno strappo dall’intervista al Sindaco di Firenze pubblicata sul Corriere Fiorentino del 24 gennaio 2023
Se non ci fosse in gioco la vita di una città divenuta proibitiva tanto per chi le presta il proprio studio e lavoro, quanto per chi la abita risiedendovi e versando contributi fiscali, alcune delle dichiarazioni rilasciate dal nostro Sindaco parrebbero rubricabili tra le varie ed eventuali di un mandato vicino alla fine.
Il problema invece è serio: dopo anni di allarmi disattesi e gli scossoni della pandemia, l’emergenza abitativa si avvia a diventare tragedia nel bel mezzo di una policrisi economica, climatica, geopolitica e generazionale. Desta francamente sconcerto che solo ora il Sindaco si decida a convocare “tutti” a Palazzo Vecchio per affrontare il problema della rendita, tanto più che il nuovo Piano Operativo è appena arrivato in vista del traguardo, dopo un percorso durato più anni del previsto. Meglio tardi che mai? Certo, anche se, tra le improvvide dichiarazioni in premessa a questa tardiva chiamata e quanto è iniziato a trapelare del contenuto del piano operativo, si fa fatica a sperare in novità di rilievo.
Continuare a scaricare sui “fiorentini” ogni colpa per l’enorme spazio che la rendita si è accaparrata nella vita della città, oltre a suscitare polemiche pretestuose e disfunzionali alla costruzione di soluzioni condivise, è proprio sbagliato, nel metodo e nel merito.
Nel metodo perché involontariamente le dichiarazioni del Sindaco avvallano convinzioni erronee, che piuttosto andrebbero sfatate.
La prima è quella che i fiorentini siano (e siano stati) un uniforme popolo di proprietari di seconde, terze ed ennesime case messe a reddito negli anni sul mercato dell’accoglienza turistica. Che ciò sia inverosimile oggi è la stessa emergenza abitativa a dimostrarlo. Che fosse falso anche in passato è di tutta evidenza nei numeri. Infatti, se è vero che anche a Firenze, non diversamente che nel resto d’Italia (qui i dati ISTAT), non più di un 20% di famiglie residenti vive (a fatica) in affitto e il resto vive in case di proprietà, è altrettanto vero che tra questo 70-80% di proprietari solo un terzo corrisponde a “famiglie” che possiedono almeno anche un altro immobile da mettere a reddito. I restanti due terzi vivono nell’unica casa che possiedono e spesso si trovano, come i propri rari vicini in affitto, gravato dalle esternalità della rendita altrui che si riversano sui costi condominiali.
Di quali “fiorentini” parla dunque il Sindaco, se almeno all’80% dei suoi concittadini pare manchi proprio la possibilità materiale per aver fatto, o fare, quanto gli si rimprovera?
La seconda errata convinzione, cui l’avventata accusa del Sindaco sembra offrire supporto, corrisponde a quella confusione diffusa per la quale i diritti patrimoniali, e in particolare il diritto di disporre sul mercato dei propri beni, sono dai più ritenuti omologabili in toto ai diritti fondamentali di libertà e come tali universali, indisponibili, inalienabili. Così non è, quantomeno non in uno Stato di diritto quale ancora siamo. Al contrario, come ben sa l’esperto di diritto Dario Nardella, i diritti patrimoniali nella misura in cui producono effetti nella sfera giuridica altrui sono invece singolari, disponibili e alienabili, in altre parole sono assoggettati (e assoggettabili) alla legge.
E qui si entra nel merito: della legge che manca, certo, ma prima ancora di quella che c’è e non si riesce a far valere.
Se, infatti, è fuor di dubbio che occorrerebbe una normativa nazionale sugli affitti brevi per arginarne il dilagare, è altrettanto vero che ad alterare il mercato degli immobili residenziali ci sono anche altri usi, che “rendono” assai più di quello propriamente abitativo. Il regolamento urbanistico vigente – e parrebbe anche il nuovo piano abitativo – consente. Per esempio a B&b, pensioni, e case vacanze di stabilirsi in immobili residenziali senza cambiarne la destinazione d’uso. Basterebbe il coraggio politico di porre il problema alla propria maggioranza in Comune e in Regione, magari iniziando proprio dal nuovo Piano Operativo. Sarà così? Abbiamo ragione di ritenere di no.
Addirittura, introducendo l’indifferenza funzionale il nuovo Piano Operativo potrebbe allargare il ventaglio di possibili usi degli immobili residenziali, aprendo a tutta una serie di attività del terzo settore ed enti religiosi la possibilità di instaurarvi le proprie attività senza cambio di destinazione d’uso. L’intento è certamente benemerito, ma è davvero difficile comprendere le ragioni di una scelta destinata a porre queste attività in competizione con l’abitare e che, nei condomini, rischia di creare un ennesimo ostacolo all’equa ripartizione dei costi. Serve davvero una rara competenza per rendersi conto che l’utenza di un luogo di culto o una palestra non gravano sui servizi comuni come una famiglia media, quale invece potranno figurare nelle ripartizioni condominiali se l’indifferenza funzionale non esclude gli immobili residenziali?
È, infine, nel merito politico che le dichiarazioni del Sindaco stridono di più. L’industria del turismo per sua natura premia la rendita, immobiliare e non solo.
Se la politica, senza mai metter mano a una valutazione obiettiva dei costi economici e sociali, diretti e indiretti, che questa industria impone alla comunità, continua a spendersi con voce univoca nella narrazione trionfante del turismo che “porta ricchezza e crea lavoro” e va perciò incentivato, promosso, sostenuto, perché mai “i fiorentini” -ammesso che siano ancora in maggioranza tali i proprietari di seconde ed ennesime case – dovrebbero andare controcorrente e magari darsi una autoregolamentazione nell’uso dei propri immobili?