Foto di copertina © Grazia Galli
Le città stanno rapidamente cambiando volto. Specialmente le città globali, dove le differenze tra residente e turista, cittadino e utente economico sfumano, modellate negli algoritmi dei nuovi modi di concepire lo spazio urbano. La Smart City, la città informatizzata e tecnologica preconizzata da Jules Verne, è sempre più vicina, seppur ancorata a prospettive urbanistiche del passato. Il decoro centralizza l’attenzione di sindaci, prescindendo dal colore politico, ed è interpretato in maniera estensiva fino a essere assorbito all’interno dei modelli di sicurezza urbani. Le ordinanze più bizzarre vietano ora di mangiare panini in piedi o seduti in alcune zone di Firenze e Pisa; altre interdicono l’uso delle panchine a senzatetto, ubriachi e turisti cafoni; quasi ovunque associano l’accattonaggio alla molestia perché la povertà, si sa, è stata abolita. Il carcere esiliato fuori dalle mura cittadine si trasforma definitivamente una “discarica sociale”.
Pseudosicurezza e decoro
Un delirio di pseudo-sicurezze declinate sotto la voce decoro, che poco o nulla hanno a che vedere con la lotta al vero degrado e altro non sono se non copie velate di forme di repressione più schiette. Servono a soddisfare l’insicurezza percepita da parte della cittadinanza. Decoro, d’altronde, significa il minimo necessario perché marciapiedi e strade non coprano con il loro chiasso la vita reale degli abitanti. Ma, in tutto ciò la differenza tra il corpo dei vigili urbani e quello di carabinieri o polizia di Stato s’è ormai persa.
La morte della piazza
In numerose piazze delle nostre città non si trova più una panchina, specie negli abituali percorsi del passeggio. Residenti e visitatori sono quindi costretti a bivaccare su qualche gradone sporco e a rischio di sanzioni, oppure a cedere alla stanchezza sedendo ai tavolini di qualche bar di lusso.
In una bellissima poesia, Patrizia Cavalli, dice che la piazza dovrebbe rimanere un “generoso vuoto di potere”. Ma le città due punto zero non concedono alternative: o paghi o sei espulso. La repressione ha un volto e un nome preciso: architettura del controllo, e, strada facendo, con essa si perde anche la concezione dello spazio urbano come ambito dialettico tra privato e pubblico. La democrazia delle città naufraga nell’assenza di spazio realmente condiviso, si astrae nella percezione della sicurezza. La folla deve trovar spazio sostituendosi all’abitare. La città del futuro non è di prossimità col residente, le piazze ricevono una funzione precisa: depositarie della globalizzazione del turismo di massa e dell’architettura del controllo. Così, asservite al potere, muoiono.
Panchine e diritti
Da Singapore a Londra, da Firenze a Matera, e in decine di altre città con vocazione alla globalizzazione del commercio e del turismo la situazione è la stessa. L’agire civico è messo sotto controllo in nome della guerra al degrado urbano, e gli spazi di agibilità politica a tutela dei diritti del cittadino sono sempre più un luogo di lotta. Diritti e repressione hanno così un nuovo teatro di scontro, insidioso e letale: la città. E la lotta a difesa dei diritti della città fragile, dai senzatetto ai migranti fino agli stessi residenti, sta creando un nuovo conflitto di classe per respingere la gentrificazione. Piazze e panchine, un tempo indicatori di efficienza delle amministrazioni, sono divenute oggi le nuove barricate della resistenza civica.