Se, tra mille altri significati, la parola cittadinanza evoca il sentirsi a casa, una casa grande e condivisa, estensione naturale del proprio spazio privato, Firenze è ormai ben lungi dal rappresentare, per il proprio popolo, il concetto di “home sweet home”.
Non a caso usiamo l’inglese, lingua cosmopolita per eccellenza, che però da queste parti fa pensare, più che alla bellezza e all’importanza dell’apertura verso mondi diversi e distanti, al risicato frasario anglofono che tutti noi, volenti e nolenti, abbiamo dovuto imparare per comunicare con la vera massa che affolla la nostra città, i turisti. Per i quali Firenze può apparire (l’apparenza inganna anche loro) una casa-dolce-casa: se non altro per i bisogni fisiologici che, seppur versando modiche cifre, possono facilmente espletare fra uno stop e l’altro delle loro fulminee comitive mordi-e-fuggi.
In tempi di overtourism, insomma, a Firenze sembra non mancare niente. Appartamenti con sei stanze e sei bagni, e, nel caso ci si dimentichi, bagni pubblici all’uopo predisposti.
Ma in tempi di Covid-19, lockdown, fasi 1, 2 o 23, quando le masse suddette son costrette ad annullare prenotazioni, in una Firenze di soli residenti che sembra vuota (ma vuota non è), il povero cittadino, se il bisognino non lo fa a casa, una volta “sortito” si illuderà di trovare quei comodi bagni pubblici che il Comune gli ha messo a disposizione.
Povero bischero! Ed eccolo lì davanti ai’ bandone chiuso, con la vescica piena. Il cartello non c’è, ma è facile immaginare il motivo: niente turisti, niente gabinetti.
O la fai a casa, o ti pigli un caffè. Ma il caffè non gli va, ha l’esofagite da reflusso, il medico gliel’ha anzi proibito. Acqua non è il caso di berne altra, siamo già al limite dell’incontinenza. E allora che fa? Che fa? Gliene vuoi fare una colpa? Guarda che quando scappa scappa, vorrei vedere te! Il primo vicolino e giù, verso la libertà!