VIAGGIO AL TERMINE DELLA NOTTE DIGITALE

VIAGGIO AL TERMINE DELLA NOTTE DIGITALE

La discussione attorno alla città digitale è ormai giunta a un bivio. Bisogna premettere che non è una circostanza esclusiva della città di Firenze; la trasformazione digitale urbana è, infatti, uno dei paradigmi amministrativi su cui si basa la “Ripartenza” economica dopo i colpi che la pandemia ha inferto a gran parte del globo urbanizzato. Durante il recente periodo più restrittivo abbiamo tutti preso confidenza con un nuovo lessico. Ci siamo imbattuti nel lavoro a distanza e nelle comunicazioni social delle call e dei webinar. Sono entrati a far parte del nostro immaginario parole come hub digitale, smart-workers, e perfino long tourism.

Nei fatti è nata una nuova antropologia culturale e con essa un primo embrione di modernità post-pandemica: la residenzialità urbana temporanea fornita di un computer e un collegamento digitale.

Il codice del residente temporaneo poggia inevitabilmente sull’innovazione digitale della città. Grazie alle novità contrattuali dei cambiamenti pandemici, il signor Charles Red di Dublino decide, per esempio, di svolgere la sua attività lavorativa smart altrove. E sceglie tra le varie offerte digitali delle città presenti in questo nuovo mercato globale. Potrebbe preferire un tranquillo borgo di campagna o una caotica metropoli. La soluzione temporanea può durare anche mesi e pone le città di fronte a nuovi interrogativi. La crisi economica in corso ha aperto, infatti, nuove drammatiche necessità che obbligano a dover fare i conti con altrettanto nuove identità urbane. Una scelta analoga a quella del signor Red potrebbe maturare per lo studente internazionale, per il turista di lunga visita e in tanti altri ambiti: commercio, svago, cultura, o qualcuno tra gli anfratti più intimi della nostra dimensione quotidiana. Potenzialmente questi nuovi segmenti di mercato coinvolgono milioni di utenze digitali a livello globale.

Il rischio per le città è però molto alto. Distratte come sono dal nuovo contrattualismo tecnocratico e dalla pianificazione digitale potrebbero perdere per strada la rappresentanza democratica.

Fino all’inizio della pandemia, le città avevano retto l’urto sociale mantenendo una visione che se da una parte si allungava timidamente verso l’innovazione digitale dall’altra teneva bene a fuoco l’identità economica territoriale. Ogni città con le proprie diversità e identità. La crisi ha accelerato la frantumazione dei vecchi equilibri che, pur carichi di tensioni, trovavano nel sempre difficile dialogo tra residenti e amministrazioni l’imprescindibile punto di caduta. Oggi, il territorio fiorentino è debole, anche per le antiche scelte sbagliate degli enti locali e dei suoi soggetti economici. Un territorio gravato da numerosi e seri acciacchi: la caduta dell’offerta lavorativa, gli alti costi dell’abitare, la saturazione turistica che ha cancellato, prima della pandemia, le tracce del vissuto tradizionale della città.

L’area fiorentina è oggi caratterizzata da un sistema industriale in crisi oltre che da quello turistico, anch’esso in forte trasformazione.

Quest’ultimo è concentrato su Firenze, mentre l’area metropolitana ha una connotazione industriale e manifatturiera più tradizionale. Un sistema multisettoriale incapace di dialogare e che, indebolito strutturalmente, ha lasciato aperte le porte per i forti appetiti speculativi. La drammaticità del momento storico che stiamo vivendo potrebbe ora indurre le amministrazioni in affanno a scegliere di percorrere nuovi sconosciuti sentieri che, dietro apparenti certezze, celano all’opposto insidie e pericoli.

Il modello urbano digitale si connota quasi invariabilmente per la necessità di un forte controllo del territorio, per una crescente conversione commerciale e consumistica degli spazi pubblici, per una diminuita fruibilità autonoma della città per nuovi e antichi residenti e un generale aumento del costo dei servizi alla cittadinanza. Al centro della città digitale c’è il mercato dei Big Data con lo sbarco definitivo nella dimensione urbana delle grandi piattaforme del capitalismo digitale, che nel contesto fiorentino si è già tradotto nella “brandizzazione” del vivere quotidiano. È un modello che, come si vede giorno dopo giorno, porta a città elitarie, prone ai dogmi del decoro e della lotta al degrado, aperte soltanto a chi può spendere.

Una nuova antropologia è alle porte, e sicuramente il futuro è caratterizzato anche dall’innovazione digitale. Di questo siamo sicuri. Sarebbe però saggio arrivarci da una posizione di forte coesione economica territoriale, dopo un ampio dibattito tra politica e cittadinanza, per decidere noi il nostro futuro, e non farlo scegliere da algidi algoritmi, magari d’importazione.

L’identità urbana sta ancora traballando alla ricerca di un nuovo spazio della politica che sappia ascoltare e programmare un futuro per tutti. Una nuova trasformazione della città, questa volta in chiave tecnocratica, dove ci porterebbe? Siamo sempre stati i fautori dell’equilibrio: tra esigenze turistiche e residenti, tra lavoro sicuro e svago collettivo, tra futuro e passato. Non vorremmo trovarci all’inizio di un viaggio al termine di una lunga notte digitale.